Passiamo a tre uscite e vediamo come va. (Spoiler: così così)

Sulla carta niente di speciale. Nella pratica è il primo vero test dopo settimane passate più a capire se il piede regge che a guardare il ritmo.

La prima uscita è stata pulita. Lenta, controllata, senza strafare. Le gambe giravano come ci si aspetta quando le rimetti in strada dopo un periodo di stop: rigide per dieci minuti, poi più morbide. Niente gloria, ma zero allarmi.

Il progressivo è andato meglio del previsto. Ritmo in crescita senza forzare, sensazione di avere margine e la testa che finalmente non sta più a concentrarsi su come appoggiare il piede per non sentire il fastidio. È la prova che il motore non è sparito, anche se il cardio racconta un’altra storia: battiti alti, più del normale. Fisiologico dopo uno stop, ma dà fastidio lo stesso.

Poi arriva l’ultima uscita. Quella che ti riporta a terra. Stanchezza subito, passo pesante, battito che non scende, piede che manda quei segnali ambigui che ti fanno dubitare. Non dolore vero, ma quella fastidiosa sensazione di non essere “a posto”. Non serve un genio per capire che la settimana te la senti addosso.

È la classica dinamica del rientro: due passi avanti, uno indietro. Ti illudi di essere già tornato e il corpo ti ricorda che non funziona così. Recupero, adattamento, margine. Devi lasciare che torni tutto al suo posto senza tirare la corda.

I battiti alti? Normali. La fatica dell’ultima uscita? Normale. Quel piede che si lamenta? Normale, finché resta un fastidio che non peggiora.

Tre uscite sono un buon segno anche se non perfette. E nel rientro la realtà è questa: il corpo segue ritmi che la testa fa fatica ad accettare. Se ascolti la testa, acceleri troppo. Se ascolti solo il corpo, non ritorni più. Serve equilibrio e soprattutto serve continuità.

La prossima settimana proviamo con quattro e vediamo se il corpo le regge.

Prima uscita

Seconda uscita

Terza uscita